Diagnosi e pianificazione implantare per edentulia singola, intercalata mandibolare.

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Dott. Vincenzo Carbone

La perdita del primo molare mandibolare, rappresenta una delle condizioni più frequenti nel nostro lavoro. Questo elemento dentario, gioca un ruolo cruciale per il corretto sviluppo e mantenimento della fisiologia del sistema stomatognatico. Le cause legate ad una così alta frequenza della sua perdita, sono da ricercarsi innanzitutto all’età di eruzione, circa sei anni, periodo durante il quale, è alto il consumo di alimenti cariogeni ed è molto basso il controllo dell’igiene orale, da parte del piccolo paziente.  I genitori,tra laltro non sempre ben informati, danno poca importanza all’eruzione di questo elemento, credendo sia un dente da latte. Il sesto elemento quindi il primo a cariarsi, subisce una serie di trattamenti, ultimo dei quali, prima dell’estrazione è una corona in ceramica. La durata media di una corona in ceramica è circa 10,3 anni. (1) l’insuccesso è legato per lo più ad una serie di complicanze, del trattamento endodontico o alla frattura di una o più parti della corona o dell’elemento residuo stesso.

In un ottica futuristica il trattamento per la sostituzione del primo molare mandibolare, comprenderà una parte sempre maggiore dell’odontoiatria protesica, visto la reale mancanza di una seria campagna di prevenzione.

A tale scopo il gruppo iDiagnosi ha preparato un opuscolo per la prevenzione delle malattie del cavo orale, nonchè guida per il corretto mantenimento dell’igiene orale. Ci auguriamo con il vostro aiuto di poter diffondere questa guida in maniera totalmente gratuita in formato digitale, ai vostri conoscenti, amici e pazienti.

Potrete trovare una copia dell’opuscolo priva di qualsiasi pubblicità nella sezione moduli utili di questo sito.

Sarà importante nel caso abbiate casi simili da affrontare, motivare il paziente, sull’importanza di questa condizione e sulla perdita di quest’importante elemento, la cui mancanza può compromettere lo stato dell’intero apparato stomatognatico.

Vi consigliamo di usufruire del canale you-tube e dei molteplici video dedicati, tra i quali vi segnaliamo quello riportato in questo caso, a noi parso particolarmente chiaro.

http://www.youtube.com/watch?v=fypm0ouaf7k&faeture=youtube_gdata_player

 

Anche per questo caso, la chiave di volta del piano di cura appare quindi essere la messa a punto di un protocollo operativo volto a definire in modo chiaro un PIANO DI TRATTAMENTO RAZIONALE che si articola attraverso i seguenti punti:

  1. Raccolta dei dati clinici e anamnestici.
  2. Studio del caso: valutazione dei rischi e classificazione dei difetti in esame.
  3. Analisi delle tecniche chirurgiche e dei rischi connessi al caso.
  4. L’ipotesi del piano di trattamento razionale
  5. La discussione attraverso il blog, del piano di trattamento ipotizzato

1. Raccolta dei dati clinici e anamnestici.

E’ giunta alla nostra osservazione una giovane paziente di anni 26 in buone condizioni di salute generale, che riferiva assenza di farmaco-allergie con profilo di rischio medico generico da noi classificato come ASA1. La paziente riferiva di una storia clinica di ricorrenti fenomeni ascessuali, successivi a terapie per il recupero endodontico e protesico all’elemento 3.6, tale elemento fu estratto sei mesi or sono, in seguito a frattura della porzione ceramica dell’elelemto protesico e contemporanea complicanza endodontica. La paziente riferisce inoltre di essere stata sottoposta a trattamento ortodontico per l ‘edentulia del 2.2, la quale non rappresenta oggetto di studio per questa programmazione.

L’esame obbiettivo intra- ed extra- orale mette in evidenza la presenza di simmetria facciale e dentale, l’assenza di neoformazioni palpabili, la presenza di cute e mucose normoemiche con lingua in asse e normomobile, frenuli correttamente inseriti, livello di attacco clinico gengivale nei limiti della norma, assenza di processi cariosi in atto, lieve estrusione del 2.6, micrognatia del 1.2, edentulia in sede 2.2; 3.6; lieve affollamento nel terzo quadrante, la paziente non presenta abitudini viziate, e parafunzioni, fumatrice 10 sig. al giorno. L’esame occlusale non mette in evidenza alterazioni a carico dell’ A.T.M., non sono presenti faccette di usura agli elementi dentari, è presente una seconda classe dentaria secondo Angle con lieve morso aperto anteriore.

Fig. 1.1; 1.2; 1.3

fig 1.1

fig 1.2

fig 1.3

2. Studio del caso: valutazione dei rischi e classificazione dei difetti in esame

Ai fini di un eccellente fase di painificazione occorre valutare, la presenza dei fattori di rischio locali dai quali spesso dipendono i fallimenti precoci e tardivi.

I fattori di rischio da valutare sono:

A. Rischio estetico.

B. Rischio biomeccanico.

C. Rischio infiammatorio-infettivo.

D. Rischio legati al sito edentulo.

A. Rischio estetico.

Anche se l’elemento in questione non è considerato, elemento di importanza ai fini estetici, c’è comunque da considerare che una corretta emergenza dei tessuti molli, (intesa come qualità e spessore della gengiva aderente), sarebbe in grado sia di donare maggiore naturalezza all’elemento ma sopratutto rappresenterebbe una condizione favorevole al mantenimento igienico delle prime spire dell’impianto.

B. Rischio biomeccanico

Il rischio biomeccanico è un fattore di fondamentale importanza per il successo implantare a breve e a lungo termine. Le forze applicate al sistema stomatognatico vanno attentamente valutate al fine di intercettare e quindi eliminare ogni potenziale fonte di sovraccarico funzionale che comprometterebbe la terapia già nell’immediato post-chirurgico, inficiando l’osteointegrazione implantare. E’ da tenere ben presente, la seconda classe molare con lieve morso aperto anteriore e la lieve estrusione del 2.6.

C. Rischio infiammatorio infettivo.

L’esame obiettivo non ha rilevato segni di gengivite. La paziente presenta un buon controllo della placca batterica, non sono evidenti agli esami strumentali, compromissioni del parodonto profondo. Non si rivela la presenza, in vicinanza del sito d’interesse, di possibili fonti infettive quali lesioni cariose in atto o  trattamenti endodontici incongrui.

D. Rischi legati al sito edentulo.

L’attenta valutazione qualitativa e quantitativa del sito ci permette di classificarne la morfologia, facilitando la fase diagnostica pre-chirurgica e sopratutto ci da la possibilità di mettere a confronto tra le diverse tecniche chirurgiche da poter eseguire, quella a minor rischio e con maggiore predicibilità a lungo termine.

Dallo sviluppo delle impronte, è possibile estrapolare una serie di dati che già lasciano intravedere la morfologia dell’atrofia ossea che sottende l’edentulia del 3.6. (fig. 2.1).

fig 2.1

Il montaggio ideale protesico dell’elemento sul modello permette di conoscere quei valori numerici a cui fare riferimento per la nostra pianificazione. Il riempimento con cera rosa ed una sonda parodontale permette di valutare preliminarmente il difetto osseo verticale di 2 mm e orizzontale di 6 mm. (fig. 2.2).

fig 2.2

 

Gli spazi protesici indicano per il rispetto delle armonie spaziali degli elelemti adiacenti, la presenza di uno spazio adeguato alla riabilitazione, nella porzione coronale, mediante una corona di un  sesto molare mandibolare. A  livello crestale, è invece presente un’eccesso di spazio mesio distale che andrà attentamente valutato ai fini della corretta scelta degli impianti da inserire. (Fig2.1).

Dall’esame rx panoramica, (Fig. 2.3) è stato posibile effettuare quindi delle misurazioni preliminari che ci confermano l’ipotesi clinica iniziale secondo cui il sito edentulo, risulta adeguato alla riabilitazione implantare ma richiede una valutazione attenta sulla scelta del numero e dei diametri impalntari.

fig 2.3

Il confronto tra il sito chirurgico ed il controlaterale sano, permette di valutarne le condizioni, rappresentate da;

  1.  Lieve deficit osseo verticale,
  2.  Ridotto spessore osseo vestibolare, rilevato con la sonda sul modello virtuale in gesso e cera di circa 6 mm,
  3. Spazio mesio distale nell’area edentula coronale di 11 mm,
  4. Spazio mesio distale edentulo crestale di 12 mm.

fig 2.4

Per una chiara comprensione dei dati raccolti è stato utilizzato uno schema riassuntivo, tabella num.1 (Mauro Merli vol. 1 Terapia implantare Quintessenza ed.), a cui ci ispiariamo, questo schema così come indicato dall’autore , permette una più facile comunicazione sia con l’equipe medica che con il paziente, il quale va alla fine delle nostre valutazioni, coinvolto nella costruzione del piano di trattamento, nelle fasi terapeutiche e nella terapia di mantenimento. Solo attraverso un pieno coinvolgimento dello stesso paziente potremmo garantirci quell’alleanza utile al nostro obiettivo teso ad un risultato finale che risponda a requisiti minimi di appropriatezza estetica e funzionale, con il massimo grado di accettazione da parte dello stesso.

tab. num 1

 

 

Il caso in esame presenta quindi alti fattori di rischio biomeccanico, legate all’estrusione del 2.6 ed all’eccesso di spazio circa 12 mm nell’area edentula. Il sito edentulo viene classificato come (IV classe di Cawood ed Howell), dove l’atrofia della porzione vestibolare richiede un mamgement dei tessuti molli adeguato nella scelta del disegno del lembo in previsione dell’ipotetico allungamento dello stesso, richiesto per far fronte al grado di atrofia seppur minima della cortex alveolare vestibolare. Le difficoltà nella scelta del piano di trattamento più adeguato sono inoltre legate alla scelta del diametro e al numero di impianti da inserire.

 

3. Analisi delle possibili tecniche chirurgiche e dei rischi connessi al caso.

Attraverso l’adozione consapevole di un sistema di dubbio e dell’incertezza, o meglio della probbabilità della certezza, cercheremo di adottare le decisioni più appropriate per il nostro percorso diagnostico razionale.

I dubbi e le domande che dovremmo farci saranno:

A. quanti e quali impianti inserire?

B. quale tipo di lembo?

C. quali materiali?

D. occorrono ulteriori indagini?

A. Quanti e quali impianti inserire?

Tra le alternative terapeutiche la riabilitazione per edentulie del primo molare mandibolare, l’implantologia presenta un successo clinico a dieci anni compreso tra il 92 e il 98%. (2)

L’insuccesso clinico implantare è rappresentato per lo più da fattori biomeccanici:

  • allentamento della vite 6%
  • frattura da fatica 4-27%
  • frattura del corpo implantare 1%
  • frattura della porzione estetica 22% (3)

Questi fattori influenzano le nostre scelte nel piano di trattamento razionale.

Infatti le condizioni ideali per un corretto inserimento implantare sono :

  • dimensioni dell’impinto almeno 3 mm minore della dimensione mesio-distale del dente mancante.
  • 2 mm al di sotto della giunzione amelo-cementizia
  • distanza di 1,5 mm dal dente andiacente
  • distanza di 1, 5 mm dall’ampiezza vestibolo buccale della cresta
  • diametro minimo di 4 mm per la mandibola posteriore (fig 3.1)

fig 3.1

In questo caso per poter rispettare tutte le condizioni, dovremmo utilizzare un impianto di grosso diametro; almeno di 6 mm (Fig.3.2)

Fig 3.2 ipotesi di impianto singolo di grosso diametro.

 

Infatti, collocando un’impianto inferiore come diametro, si creerebbe un braccio di leva di 4-5 mm sulle creste marginali della corona (fig. 3.3). In presenza di intensificazione di forze occlusali, ricordiamo: l’estrusione del 2.6, la seconda classe dento-scheletrica, come in questo caso, si possono determinare:

  • perdita di osso
  • complicare il mantenimento igienico domiciliare
  • aumentare l’allentamento della vita del pilastro
  • fino all’insuccesso per sovraccarico del pilastro (4)

                        fig 3.3

Per ridurre al minimo quest’evenienza, dovremmo utilizzare un impianto a grosso diametro di almeno 6 mm, il quale apporterebbe un miglioramento della proprietà meccanica del sistema, attraverso; un aumento dell’area di superficie, una maggiore resistenza alle componenti alla frattura, un’aumentata stabilità del pilastro ed un miglioramneto del profilo di emergenza della corona. Per poter perseguire le condizioni ideali per il corretto inserimento di un impianto di 6 mm avremmo bisogno di almeno 9 mm di spessore crestale.

Analizzando le condizioni del nostro sito chirurgico, anche se non abbiamo a disposizione immagini TAC tridimensionali. siamo in grado di prevedere un aumento dell possibilità di insuccesso legate all’intervento stesso, infatti la presenza del deficit osseo corticale-vestibolare, verrebbe ancor di pù accentuato dall’osteotomia implantare, determinando un aumento delle possibilità di recessione gengivale e perdita di osso alle prime spire con aumento della percentuale di fallimento per perdita di osso crestale.

In questo caso quindi anche se esistono le indicazioni per un’impianto singolo, coesistono tuttavia le controindicazionni per l’utilizzo di impianti a grosso diametro, legate per lo più al deficit osseo-corticale vestibolare. Tale deficit sarà comunque oggetto di discussione in questo caso, e la sua rigenerazione sarà anch’essa influenzata dalla scelta degli impianti da utilizzare.

Ritornando proprio alla scelta degli impianti , quando la dimensione mesio-distale è di 14 mm con un adeguato spessore vestibolare, possono essere utilizzati due impianti di 4 mm di diametro (fig. 3.4)

fig 3.4

                              fig 3.4

 

L’utilizzo di due impianti per un solo molare, riduce i carichi mesio-distali, viene aumentata la superficie di supporto con riduzione dello stress e minor rischio di allentamento della vite pilastro, riducendo inoltre la possibilità di recessione per la preparazione osteotomica in sè ridotta. Così come riportano gli autori di uno studio (5) in cui si confrontano i dati riportati dai casi con l’utilizzo di due impianti vs i casi con utilizzo di impianto singolo.

Lo studio riporta che l’assenza del braccio di leva nei casi con due impianti, determina:

  • Successo implantare nel 99% dei casi
  •  Allentamento della vite: 48% impianto singolo; 8% due impianti
  • rischio di frattura ridotto nei casi con due impianti.

La letteratura conferma questi dati, con linee guida che supportano l’utilizzo di due impianti per uno spazio superiore o uguale a 14 mm, Tab. 2.

tab. num 2

 

Ma, come nel nostro caso, quando lo spazio mesio-distale è 12 mm il piano di trattamento non può essere estrapolato da una linea guida.

Infatti non possiamo utilizzare impianti di diametro 4, poichè mancherebbero le condizioni di spazio crestale, ricordiamo che gli impianti dovrebbero distanziarsi per almeno 3 mm , così  da consentire una sopravvivenza dell’osso interimplantare e dei tessuti molli della papilla, e distanziare 1,5 mm dagli elementi adiacenti. avremmo quindi bisogno di 14 mm di spazio, infatti:

diametro implantare 4+4=8

spazio interimplantare 3 mm

spazio dagli alementi adiacenti 1,5+1,5= 3mm

totale 14 mm

In queste condizioni, dovremmo guadagnare spazio, 2 mm cosi da poter inserire due impianti di diametro adeguato.

Lo spazio potrà essere recuperato in tre modi:

  1.  Corono plastica
  2. Movimento di umprinting del molare distale.
  3. Decentramento implantare

Tra le tre tecniche a disposizione, scartiamo subito la corono plastica, l’umprinting dell’ 3,7 , verrà scartata poiche la paz. ha gia subito un trattamento ortodontico e per di più il molare non sembra eccessivamente mesioinclinato.

Potrà essere presa in considerazione il decetramento degli impianti nell’ampiezza crestale dell’osso. (fig 3.5).

Inserendo gli impianti in questo modo, si potrà recuperare circa 1mm di spazio.

Quando gli impianti vengono collocati in questo modo, viena data considerazione all’igiene orale e all’occlusione. Nella mandibola l’impianto più distale viene posizionato vestibolare, quello mesiale viene posizionato linguale, così da favorire l’accesso dell’ago passafilo per l’igiene (fig.3.5).

                                   fig 3.5

                         fig 3.5

La scelta sul numero di impianti da inserire, alla luce delle considerazioni e dei rischi connessi alle procedeure, tab.3, dovrebbe orientarci verso l’utilizzo di due impianti, anche se lo spazio nonostante il millimetro ipoteticamente guadagnato dal decentramento implantare non sembra ancora rassicurarci, sopratutto nella distanza interimplantare.

Questo ulteriore dubbio potrà essere risolto dalla scelta di un’adeguata geometria implantare che il mercato mette a disposizione. L’impianto da noi considerato è caratterizzato dal profilo rastremato al collo  questa geometria consentirebbe di preservare l’osso a livello crestale e di inserire fixture nei casi di ridotto spazio, preservando l’irrorazione dei vasi papillari. (Fig. 3.6). In questo modo, potremmo guadagnare quel millimetro fondamentale, per il nostro caso.

                             fig 3.6

B. Quale tipo di lembo?

Le incisioni e il lemnbo da eseguire dovrebbero permetterci di gestire i tessuti molli nella maniera tale da:

  • accedere in maniera generosa all’area dell’intervento.
  • permettere un prelievo dal piatto corticale mandibolare-
  • poter determinare un’allungamento dei tessuti per far fronte all richiesta di volume indotta dal riempimento di materile osseo prelevato.
  • chiudere per prima intenzione il lembo principale.

Un lembo a cui potremmo far riferimento è la tecnica della periostioplastica, descritta dettagliatamente dall’autore (Prof. Mauro Merli, in terapia implantare, il piano di trattamento integrato; cap. 11 quintessenza ed.). Questa tecnica permette di ottenere attraverso delle incisioni periostali, eseguite nello spessore del lembo principale, nel limite del periostio, un doppio strato tissutale, grazie al quale viene facilitata la fase di chiusura del lembo principale favorendo un perfetto sigillo della linea di incisione e del materiale da rigenerazione, permetterebbe inoltre l’aumento del tessuto molle per effetto di sovrapposizione del doppio tessuto.  

La tecnica di base prevede di scolpire e sollevare dapprima un lembo mucoperiostale trapezoidale, verrà eseguito quindi l’inserimento degli impianti ed eseguita la ricostruzione ossea e solo dopo aver posizionato la membrana di ricopertura, verrà eseguita un’incisione orizontale di rilascio, seguita da due incisioni verticali che coinvolgono lo spessore dello stato periostale all’interno del lembo mucoperiosteo stesso. Il lembo periostale, verrà quindi ribaltato e suturato con suture riassorbilbili al lembo linguale costituendo il primo sigillo di chiusura. Verrà poi suturato il lembo principale trapezoidale con suture ad u orizontale e punti staccati in corrispondenza dell’incisione primaria linguale. Un’esempio è riportato nelle immagine dei disegni (fig. 3.7, 3.8, 3.9)

fig 3.7 incisione periostale primaria orizzontale.

fig 3.8 allungamento del lembo principale, sull’incisione periostale.

fig 3.9 incisioni periostali verticali di rilascio.

Facendo ricorso a questa tecnica dovremmo riuscire ad ottenere una chiusura per prima intenzione del lembo, in assenza di tensioni, riducendo il rischio di deiscenza e contemporanemente aumentare il volume dei tessuti molli nell’area di innesto.

C. Quali materiali ?

In questo caso il tipo di difetto consente di inserire gli impianti contestualmente alla rigenerativa della corticale vestibolare. Il materiale da considerare è sicuramente il gold standard ovverro l’osso autologo, prelevato mediante tecnica di bone scraper, oppure con tecnica piezo surgery e protetto mediante membrana riassorbile in collagene o pericardio. Qualunque sia la tecnica, trovandoci nella sede di maggiore indicazone di prelievo intraorale, ovvero il piatto vestibolare mandibolare, queste due tecniche andranno sicuramente preferite all’utilizzo di biomateriali.

I nostri obiettivi sono allora ben delineati, cioè quelli di inserire due impianti in un solo tempo chirurgico, riportare il nostro difetto di classe IV a classe III di Cawood ed Howell, attraverso il prelievo di particolato osseo vicino alla sede di nostro interesse per la correzione morfologica della atrofia ossea e ridurre così al minimo i rischi intrinseci chirurgici.

4. L’ipotesi del piano di trattamento razionale

Divideremo per semplicità le nostre ipotesi del piano di trattamento in punti così da facilitare i visitatori del blog ad intervenire, suggerire, avanzare dubbi, così da ridurre ancora di più le nostre incertezze.

  1. Utilizzo di colluttorio alla clorexidina al 0,2% per un minuto e infiltrazione di anestetico al sito chirurgico
  2. Anestesia plessica carbocaina al 2% con adrenalina
  3. apertura di un lembo mucoperiosteo trapezoidale con incisione mediocrestale, estensione intrasulculare mesiale all’elemento 3.5; estensione intrasulculare distale all’elemento 3.7. Incisione di scarico verticali mesiale al 3.5 e distale al 3.7 oltre la giunzione muco gengivale, con attenzione all’emergenza del nervo mentoniero sullo scarico mesiale.
  4. Preparazione dei siti osteotomici con fresa carota da 3 mm di diametro per circa 8 mm di lunghezza e conservazione in acqua fisiologica. Ulteriore preparazione con frese dedicate; pilota e 3.2 mm di diametro fino alla lunghezza di 11,5
  5. Posizionamento degli impainti. 2 impianti Adin touareg x da 3, 75 mm di diametro.
  6. Posizionare tamponi agli sbocchi ghiandolari
  7. Prelievo dalla cortex mandibolare, del particolato, mediante tecnica bone scraper e conservazione.
  8. Incisione periostale orizzontale, di rilascio del lembo.
  9. Incisioni verticali periostali di preparazione del lembo con tecnica della perioosteoplastica.
  10. Preparazione del sito ricevente, apertura degli spazi midollari
  11. Posizionamento del particolato, e protezione mediante memebrana riassorbibile.
  12. sutura del doppio lembo mediante suture riassorbibili intramurali a materassaio orizzontale per il lembo periostale, e a punti staccati per il lembo principale mucoperiosteo.

 

Letture consigliate:

  • Fouad Khoury. innesti ossei in implantologia, quinteessenza ed.
  • Carl E. Misch. implantologia contemporanea, Elsevier ed.
  • M.merli vol. 1 Terapia implantare,
  • Carlo Tinti S. Parma Benfenati, GBR Rigenerazione ossea  guidata a scopo implantare, ED. Nike.

Articoli correlati:

1: Wood M., Kern M, et al: TEn year clinic and microscopic avaluation of resin bonded restorations Quintessence Int 27: 808-807, 1996.

2: Goodacre CJ, Bernal G., et al: Clinical complication with implant and implant prostheses, Prosthet Dent 90: 121-132, 2003

3: Tonetti MS, Schmid J: Patogenesis of implant failures, periodontology 2000 3: 127-138,1994

4: Rangert B., Krogh PH, Langer B et al: Bending overload and fixture fratture: a retrospective clinical analysis, Int J Oral Maxillofac Implantn 10:326-334,1995

5: Balshi TJ, Wolfinger GJ: Two-implant supported sigle molar replacement: interdental space requirement and comparison to alternative optional, Int J Periodontics Restorative Dent 17:426-435, 1997.

 

 

5. Discussione del caso attraverso il blog 

 

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